Laura Contardi, maître del corpo di ballo: “Tutti hanno cercato di copiare Carla

“Ci mancherà tantissimo”. Qualche ora dopo la cerimonia privata che ha accolto il feretro di Carla Fracci nel foyer della Scala per la camera ardente, a Laura Contardi trema ancora la voce. Lei, che da diciotto anni è maître del corpo di ballo, ha ancora negli occhi la vitalità della grande ballerina quando, a gennaio, era tornata in sala prove per una masterclass con le giovani promesse del balletto.

Non si aspettava che se ne sarebbe andata così presto?

“Sono molto toccata. Non sapevamo nulla, abbiamo saputo solo il giorno prima che morisse che era stata ricoverata, ci sembrava impossibile. Quando è venuta qui era meravigliosa, stava bene, era felice di essere tornata nella sua casa dopo tanto tempo. A pensarci ora che era già malata, ha avuto una forza e un coraggio incredibili”.

Qual è il primo ricordo che ha di lei?

“Quand’ero ballerina qualche volta ho lavorato con lei, ma non tantissimo. L’esperienza più bella è stata dopo, da maître, e in particolare l’ultima masterclass su Giselle è stata meravigliosa. Perché per me lei era Giselle. La prima volta che l’ho vista in scena in quel ruolo è stato all’Opera di Roma, con Nureyev, sarà stato il 1986. Io ero piccola, avevo 19 anni, e mi ricordo la fila incredibile per i biglietti, dal pomeriggio per tutta la notte fino al giorno dopo. Quello spettacolo è stata un’emozione incredibile, ho pianto dall’inizio alla fine”.

Perché era così speciale?

“Per piccole cose, ma estremamente importanti per approfondire e dare importanza al ruolo. Ad esempio gli occhi, l’inclinazione del collo, le braccia che si muovono continuamente. Piccole nuance che lei, sempre molto carina e gentile dietro le quinte, mi suggerì a un galà che facevamo insieme, e che io mi sono portata dietro nel tempo. Ero innamorata di come nella scena della follia di Giselle faceva muovere il costume, sembrava che arrivasse dopo di lei. Ma quella era Carla, solo lei. Tutti hanno cercato di copiarla, ma era impossibile”.

Quando è venuta a gennaio com’è andata?

“Carla negli ultimi anni aveva capito quanto era importante trasmettere ai ballerini il suo bagaglio. Finché danzi, e lei lo ha fatto fino ai 70 anni, pensi a te, da quando ha tolto le punte ha iniziato a pensare agli altri. Con le ragazze abbiamo fatto un grande lavoro proprio sulla follia di Giselle, ma è molto difficile fare quello che faceva lei. Ci si avvicina, sì. Ma lei lì era la passione, la danza, l’interpretazione, la musicalità. Era tutto quello che ci può essere nella nostra arte. Perché era una grandissima artista. Ed è questa la cosa che nelle nuove generazioni viene un po’ a mancare”.

Perché?

“Perché adesso si pensa molto di più alla tecnica, alle linee, alle piroette, e si abbandona un po’ quello che è basilare: partire prima dal ruolo, dall’interpretazione, da quello che esprimi e ti viene da dentro, e poi di conseguenza vengono i passi. Carla era una grandissima ballerina, ma tecnicamente era ‘normale’. Però aveva tutto il resto. La vera danza non ha niente a che fare con la ginnastica”.