Lettera aperta dei live club milanesi: “Nessun impegno e idea concreta: chiusi
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Ci sono un po’ tutti, dall’Alcatraz all’Apollo, dal Live Club di Trezzo al Fabrique, passando per il Biko, il Legend, il Santeria e i Magazzini Generali. E sono una quindicina in tutto i locali che hanno messo la propria firma in calce a una lettera aperta al Comune e all’assessorato alla Cultura, che inizia con una domanda: “La città di Milano si merita di non avere più Live Club?”. E la risposta è un “no” lungo diverse righe, che mostra delusione e frustrazione per un anno di chiusura forzata a causa della pandemia – con tutto ciò che ne consegue a livello economico, sociale e occupazionale per gestori, musicisti e operatori del settore – ma anche per quello che, a loro giudizio, si poteva fare e non è stato fatto.
È passato un anno, scrivono, “un lungo periodo in cui non ci sono stati incontri, confronti, approfondimenti specifici, né un progetto condiviso su modalità e tempi di recupero e ripresa. Proposte che sarebbero dovute arrivare da parte dell’assessorato alla Cultura, responsabile di un settore centrale per la socialità e la collettività di una comunità, un’istituzione che, ancora di più in questo momento, dovrebbe essere un riferimento”.
Non solo, in questi mesi, denunciano i live club in quella che è una dimostrazione del loro fronte unito, “non sono stati messi in campo nessun vero impegno o idea concreta. Nel frattempo, a quasi un anno dalla pubblicazione dei risultati, i fondi di emergenza promessi e deliberati attraverso il Fondo di mutuo soccorso non sono ancora arrivati”.
Poi la critica verso l’iniziativa promossa a metà marzo dalla Giunta battezzata “Milano, che spettacolo!” e che nelle intenzioni del Comune vuole “sostenere e rilanciare il comparto cittadino dello spettacolo, così duramente colpito dalla drammatica crisi pandemica”. Il live club la bollano come “una proposta improvvisa e calata dall’alto, un progetto che prevede l’assegnazione di un hub, in cui tutte le realtà cittadine, di musica e non, possano accedere per produrre spettacoli, con tempistiche irreali e senza un indirizzo artistico chiaro. Un progetto confuso, che sminuisce la nostra professionalità, che taglia le gambe agli spazi esistenti e che, per di più, disperde economie vitali per la sopravvivenza dei luoghi della cultura e dell’intrattenimento”.
Una proposta insomma che – aggiungono – “non affronta né risolve o considera il sistema di produzione dei live club esistenti, fatto di lavoratori, investimenti, strutture faticosamente create negli anni, che in parte abbiamo perso negli ultimi mesi a seguito delle chiusure (Circolo Ohibò, Spazio Ligera, Serraglio, Blues House e…
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