Il futuro delle rinnovabili nella pila del XIX secolo

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Il problema delle fonti rinnovabili, ne abbiamo parlato spesso, non è tanto quello di produrre energia in maniera efficiente, quanto quello di riuscire a metterla da parte quando non serve per averla a disposizione nei periodi in cui ne abbiamo necessità. Un esempio? Nel caso del fotovoltaico, si tratta di trovarre il modo per conservare l’energia in eccesso prodotta di giorno affinché sia possibile utilizzarla di notte, quando il Sole non c’è.

Beh, diranno alcuni, basta usare delle grandi batterie. La risposta è in effetti ovvia, anche se va sottolineato come le batterie oggi maggiormente diffuse, quelle agli ioni di litio, non siano propriamente ecologiche, né a buon mercato. Impiegano infatti metalli rari, che vengono estratti e lavorati con processi molto dispendiosi di energia, oltre che inquinanti, e sono scarsamente riciclabili.

Le pile metallo aria.  Un team di ricercatori della NASA e del MIT, rielaborando una tecnologia vecchia di quasi 150 anni, potrebbe aver trovato una soluzione sostenibile per la realizzazione di accumulatori di nuova – si fa per dire – concezione.

Gli scienziati hanno rispolverato la pila metallo-aria, una categoria di accumulatori sviluppata per la prima volta nel 1878, che utilizza l’ossigeno atmosferico come catodo (dove avviene la semireazione di riduzione, con l’acquisizione di elettroni) e un metallo come anodo (il polo dove ha luogo la semireazione di ossidazione, con una cessione di elettroni).

In queste batterie l’ossigeno contenuto nell’aria reagisce con il metallo, per esempio il ferro, o lo zinco, innescando una reazione chimica che dà il via a un processo di elettrolisi liberando energia. Si tratta, di fatto, di una cella a combustibile dove il metallo è il combustibile e l’ossigeno il comburente. L’ossigeno ossida le superfici metalliche sottraendo elettroni e generando così un flusso di corrente. Quanto il metallo è completamente ossidato, la pila è scarica.

A differenza delle batterie agli ioni di litio, le pile metallo-aria non possono essere ricaricate: occorre rigenerarle sostituendo gli anodi. E come se non bastasse hanno una densità energetica per kg di peso decisamente bassa: 40 wattora al chilogrammo contro i 100 wattora/Kg (e oltre) delle più moderne batterie.

Ma allora, viste le loro scarse prestaznioni, come mai le batterie metallo-aria hanno improvvisamente risvegliato l’interesse dei ricercatori? Soprattutto per il loro basso costo di realizzazione e per facilità di smaltimento. 

Reinventare il passato. Yet-Ming Chiang, un ricercatore del MIT, ha messo a punto un processo che si chiama “reverse rusting”, letteralmente “arrugginimento inverso”, che consente alle batterie metallo aria di essere ricaricate in maniera semplice ed efficiente.

Nel suo impianto sperimentale Chiang ha utilizzato un elettrodo di ferro, che a contatto con l’ossigeno libero si ossida (cioè arrugginisce) e libera elettroni. Facendo però passare la corrente in…

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