Acciaio, 60mila lavoratori a rischio in Italia tra ex Ilva e JSW

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Ci sono 60mila lavoratori della siderurgia, tra diretti e indiretti, a rischio in Italia tra gli stabilimenti ex Ilva, ora Acciaierie d’Italia, di Taranto, Genova, Novi Ligure, Racconigi e Marghera e le acciaierie di Piombino, attualmente in mano agli indiani di JSW. E questo malgrado il settore sia in una congiuntura favorevole grazie ad una forte domanda di acciaio e alla ripresa post pandemia e tante aziende stiano marciando molto bene.

Lo hanno dichiarato l’8 novembre, in una conferenza stampa a Roma, i vertici nazionali di Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm presentando lo sciopero di 8 ore che avrà luogo il 10 novembre in tutti i siti industriali coinvolti con una serie di presidii a Roma, sotto le sedi dei ministeri piu direttamente interessati alle due vicende. Il polo produttivo più importante è l’ex Ilva di Taranto, per il quale i sindacati parlano di «situazione è drammatica» e dove «anche se in taluni casi c’é stata una risalita produttiva, questa non si è tradotta in aumento di occupazione».

Produzione al di sotto delle potenzialità

Attualmente lo stabilimento di Taranto è per le sigle metalmeccaniche ai «livelli più bassi di produzione». Secondo i numeri forniti dai sindacati, «a Taranto ci sono ora 2.300 lavoratori in cassa integrazione ordinaria, più altri 1.600 di Ilva in amministrazione straordinaria anch’essi in cassa ma straordinaria. E di questi 1.600 di Ilva in as nessuno dice nulla, sembra che siano stati derubricati». Inoltre ci sono i 4mila dell’indotto, definiti dai sindacati «i più esposti, i più bistrattati» visto che si registrano ritardi nei pagamenti delle fatture da parte di Acciaierie d’Italia alle imprese “satelliti”.

Proseguendo l’esposizione, le tre federazioni metalmeccaniche dicono che «a Genova sono in cassa integrazione altri 200 a rotazione, piú altri 280 di Ilva in amministrazione straordinaria. A Genova, nonostante la richiesta del mercato, si producono circa 700mila tonnellate contro un milione di tonnellate che si possono produrre».

«A Novi Ligure – si evidenzia – ci sono 100 lavoratori in meno nell’organico rispetto agli accordi e 200 sono collocati in cassa. Novi Ligure ha potenzialità produttive per 1,100 milioni di tonnellate ma ne produce solo 700mila». Secondo Rocco Palombella, della Uilm, «dal lontano luglio 2019, cioè dopo pochi mesi dell’acquisizione di Ilva da parte di ArcelorMittal, c’è stato l’inizio della cassa integrazione, da Taranto a Genova, da Novi Ligure a Marghera. Dalla cassa per crisi di mercato, siamo passati a quella Covid e tutt’oggi Acciaierie d’Italia ha continuato a chiedere cassa integrazione».

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