Le lucertole sub che respirano sott’acqua

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Ci sono voluti 12 anni e osservazioni ripetute, ma finalmente un gruppo di ricerca dell’università di Toronto ha confermato qualcosa che finora era stato osservato solo aneddoticamente: le lucertole del genere Anolis sono i primi vertebrati conosciuti che utilizzano una tecnica di respirazione subacquea diffusa negli artropodi, e che sfrutta un principio che è stato battezzato rebreathing perché ricorda l’analoga tecnologia usata da noi umani nelle immersioni subacque.

Diffusa. I risultati di questo studio sono pubblicati su Current Biology, e confermano non solo che le lucertole Anolis praticano la “ri-respirazione”, ma che la tecnica è diffusa in tutte e sei le specie che sono state studiate, comprese quelle che non sono solite tuffarsi sott’acqua.

 Il rebreathing, che è lo stesso termine che si usa per riferirsi agli apparecchi usati dai sub per restare immersi più a lungo, è una tecnica molto semplice per le lucertole: tutto quello che devono fare è emettere una bolla d’aria dal naso prima di immergersi; la bolla rimane integra quando vanno sott’acqua, e funge da riserva di ossigeno extra, il che consente loro di restare in immersione fino a venti minuti. È la prima volta che questo comportamento, che è presente in molti invertebrati, viene osservato in un vertebrato; o meglio, è la terza: già nel 2009 due degli autori dello studio, Richard Glor e Luke Mahler, osservarono una Anolis andare sott’acqua con una bolla d’aria sul naso, ma al tempo non ebbero modo di proseguire nello studio e compiere altre osservazioni.

Dieci anni dopo… Ci sono riusciti quasi dieci anni dopo: è dal 2017 che il team monitora sei diverse specie di Anolis, alcune delle quali sono specializzate per la vita acquatica mentre altre si tuffano solo occasionalmente. Quattro anni di osservazioni hanno confermato che tutte e sei le specie sono in grado di usare la tecnica del rebreathing, anche se ovviamente sono quelle acquatiche che lo fanno più spesso.

C’è un motivo se queste lucertole riescono a costruirsi un respiratore subacqueo usando solo un po’ d’aria: la loro pelle è idrorepellente, un tratto che secondo gli autori si è sviluppato come forma di protezione dai parassiti ma che fa sì che, sott’acqua, le bolle d’aria rimangano attaccate. Gli esperimenti del team hanno potuto verificare che il contenuto di ossigeno di queste bolle decresce con il passare del tempo, a dimostrazione che viene utilizzato per respirare.

Le due ipotesi. Ci sono anche altre due ipotesi sul funzionamento di questo strumento: la prima è che la bolla d’aria serva anche per liberarsi della CO2 prodotta durante la respirazione, che verrebbe dispersa nell’acqua circostante invece che venire ri-respirata. La seconda è che la stessa bolla sia in grado di assorbire un po’ di ossigeno dall’acqua circostante, prolungando la sua durata – una caratteristica già osservata in molti artropodi che usano una tecnica di respirazione simile a quelle delle Anolis.



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