Il gigantopiteco, la scimmia gigante, si estinse più di 200.000 anni fa

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Ci fu un tempo in cui la Cina meridionale era abitata da “King Kong”: erano i Gigantopithecus blacki, scimmioni alti tre metri e pesanti 250 chili. Questi giganteschi primati si estinsero molto prima dell’arrivo dell’uomo sulla Terra. Un nuovo studio pubblicato su Nature – che ha raccolto dati provenienti da 22 grotte sparse per la regione Guanxi − ha infatti dimostrato con maggiore precisione il periodo della loro scomparsa: non 100.000 anni fa – come uno studio del 2016 aveva ipotizzato-, bensì più di 200.000. Confermata, invece, la causa: gli scimmioni scomparvero perché probabilmente furono incapaci di adattare la propria dieta e il proprio stile di vita ai cambiamenti che avvennero nell’ambiente circostante.

Fossili di Gigantopithecus. Per datare i campioni raccolti, gli studiosi hanno utilizzato diverse tecniche: la principale è la datazione a luminescenza, che ha stabilito quando i sedimenti che contenevano i fossili sono stati esposti alla luce l’ultima volta: «Datando direttamente i resti fossili abbiamo potuto confermare che la loro età corrispondeva con quella dei sedimenti nei quali sono stati ritrovati, cosa che ci ha permesso di produrre una cronologia affidabile dell’estinzione del G. blacki“, spiega Renaud Joannes-Boyau, esperto di geocronologia alla Southern Cross University (Australia).

Meglio gli oranghi. Secondo quanto scoperto dagli studiosi, i gigantopitechi si estinsero tra i 295.000 e i 215.000 anni fa. Prima di allora, il G. blacki prosperava nelle foreste della zona, ma tra i 700.000 e i 600.000 anni fa l’ambiente iniziò a modificarsi in seguito a un cambiamento del clima e dell’alternanza stagionale. Mentre gli oranghi (nome scientifico Pongo) riuscirono ad adattare la propria dieta, le dimensioni, il comportamento e le preferenze di habitat all’ambiente circostante, i gigantopitechi passarono a una dieta meno nutritiva e meno varia, diventando più stanziali e soffrendo di stress cronico.

Il perché delle estinzioni. I ricercatori si sono concentrati soprattutto sullo studio dei fossili dei denti dei primati: «I denti ci danno una chiara visione del comportamento della specie, dei livelli di stress, la diversità del cibo di cui si nutriva, e i comportamenti che adottava», spiega Joannes-Boyau.

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