Gli elefanti hanno bisogno di poter traslocare in aree più vaste

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Quella degli elefanti africani di savana, l’animale terrestre più grande del mondo, è una di quelle storie che possiamo sbandierare per dimostrare che, quando decidiamo di impegnarci, noi umani siamo in grado di rispettare e proteggere la natura: da una ventina d’anni circa, quando la specie è stata dichiarata vulnerabile dall’IUCN, i nostri sforzi di conservazione hanno fermato il suo declino, e al momento siamo riusciti quantomeno a stabilizzare le loro popolazioni. Uno studio pubblicato su Science Advances, però, suggerisce che questi risultati globalmente positivi non debbano distrarci dal fatto che non tutti gli elefanti africani stanno bene allo stesso modo: ci sono popolazioni che prosperano, e altre aree nelle quali invece i numeri continuano a diminuire. Come mai?

Pareggio di bilancio. Lo studio è il più ampio mai condotto sugli elefanti africani: prende in considerazione non solo i numeri di oltre 100 popolazioni diverse, che coprono circa il 70% di tutti gli esemplari esistenti al mondo di questo pachiderma, ma anche i loro tassi di crescita, e dimostra come questi ultimi si siano mantenuti stabili nel periodo studiato, tra il 1995 e il 2020. In altre parole, nell’ultimo quarto di secolo siamo riusciti a fermare un declino che sembrava inarrestabile: siamo in pari, e nei prossimi anni abbiamo l’obiettivo di andare in vantaggio. Il problema che emerge dallo studio è che non tutte le popolazioni sono in salute allo stesso modo: ci sono aree come la Tanzania e lo Zimbabwe dove i numeri degli elefanti continuano a diminuire, e altre come il Botswana dove invece stanno crescendo molto rapidamente.

Rete di parchi. Investigando le cause di questa disparità, il team della Duke University ha scoperto che il problema è soprattutto in quei Paesi dove si pratica il cosiddetto conservazionismo fortezza: aree molto protette e tutelate, ma isolate e completamente tagliate fuori dagli ambienti circostanti. In zone come queste, gli elefanti prosperano molto in fretta, ma si trovano presto a diventare un problema per l’ecosistema, perché consumano velocemente un’enorme quantità di piante. Gli autori dello studio puntano poi il dito sugli esempi virtuosi: aree protette, sì, ma circondate da zone di buffer nelle quali c’è spazio anche per l’attività umana, e che funzionano anche da corridoi tra un’area protetta e l’altra. In questo modo, gli elefanti possono distribuire i loro numeri su aree molto vaste, invece di “intasarne” una più piccola. Se vogliamo dunque invertire definitivamente la rotta e vedere gli elefanti africani prosperare, la soluzione è nelle connessioni, non nell’isolamento dorato.



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