COP28 e combustibili fossili: le parole sono importanti

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Le battute finali della COP28, la ventottesima Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico in corso a Dubai dal 30 novembre, si stanno giocando tutte su differenze terminologiche sottili soltanto sulla carta. Dalla bozza finale della dichiarazione conclusiva del vertice è infatti scomparsa, lunedì 11 dicembre, l’espressione “phase out“, cioè eliminazione, riferita ai combustibili fossili, presente invece nelle precedenti bozze. Mentre scriviamo, la partita non è ancora chiusa, ma le trattative sul testo, che avrà ricadute politiche importanti, si stanno facendo tese.

L’unica strada possibile. Per contenere il riscaldamento globale a un massimo di 1,5 °C gradi dall’era preindustriale (e scongiurare gli effetti più drammatici e irreversibili della crisi climatica) non c’è alternativa all’abbandono dei combustibili fossili e delle loro emissioni climalteranti. Già in chiusura della COP27 era stato ribadito questo obiettivo ma non il modo per arrivarci, visto che si era parlato soltanto di una riduzione (“phase down“) dell’uso di carbone e soltanto di esso – non di petrolio e gas, per approfondire.

colpo di spugna. Una bozza di dichiarazione finale pubblicata domenica 10 dicembre menzionava «un’eliminazione (“phase out“) dei combustibili fossili in linea con la migliore scienza disponibile». Ma nel testo proposto lunedì 11 dicembre il termine “phase outè sparito, e i toni sono apparsi molto più sfumati: le nazioni, si legge, dovrebbero puntare a una «riduzione sia del consumo che della produzione di combustibili fossili in modo giusto, ordinato ed equo, per raggiungere le emissioni zero entro, prima o intorno al 2050, come raccomandato dalla scienza».

Termini di un certo peso. Anche se la differenza linguistica può non sembrare profonda, la scelta dell’uno o dell’altro termine può avere un impatto significativo sugli sforzi che i più grandi emettitori (ben rappresentati alla COP28) sono chiamati a compiere. Il testo contiene anche un riferimento alle tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio sulle quali puntano molto i Paesi estrattori, che tuttavia sono ancora molto costose e non possono essere viste come un’alternativa alla transizione energertica.

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