Svelato il mistero del mostro di Tully

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Lo chiamano il “mostro di Tully”, una creatura vissuta 300 milioni di anni fa nel Carbonifero, non più lunga di 35 cm, ma dai tratti più unici che rari: un corpo posteriormente simile a una seppia, due occhi appaiati ai lati di un segmento trasversale che precedono un lungo collo collegato a una piccola testa munita di denti aguzzi. Per oltre settant’anni dopo la sua scoperta, avvenuta nel giacimento di Mazon Creek, Illinois (Usa), il mostro di Tully (Tullimonstrum gregarium) ha rappresentato un vero rompicapo per i paleontologi che non sapevano se classificarlo come un vertebrato o un invertebrato.

Corda per nuotare. Ora però un gruppo di ricercatori giapponesi delle Università di Tokyo e di Nagoya sembra avere svelato l’arcano. Confutando un precedente studio americano del 2016, che inquadrava lo strano fossile come un vertebrato simile alle lamprede (primitivi pesci dentati, ma senza mascelle), i ricercatori giapponesi hanno concluso che si tratta di un invertebrato, quindi non munito di spina dorsale, ma piuttosto di una notocorda, come l’anfiosso (Branchiostoma lanceolatum), appartenente alla categoria dei Cefalocordati, munito di cervello, ma senza un vero e proprio cranio perché privo di ossa. La corda, ritenuta presente nel Tullimonstrum, così come nella più antica Pikaia gracilens del giacimento canadese di Burgess, permetteva di nuotare con un moto ondulatorio senza un vero apparato locomotore.

Una nuova ricerca. Nello studio apparso sulla rivista specializzata Palaeontology e rilanciato da Science & vie sono stati esaminati 150 fossili di Tullimonstrum.

Tecniche innovative. I ricercatori giapponesi hanno usato uno scanner laser 3D per creare mappe dettagliate e codificate a colori di tutti i reperti fossili. Grazie a queste mappe, e alla variazione dei colori, sono stati in grado di scoprire sottili irregolarità per identificare i diversi tessuti corporei.
Hanno anche usato un’altra tecnologia all’avanguardia, chiamata microtomografia a raggi X. Si tratta di una tecnica per ottenere la ricostruzione 3D di un campione da una radiografia a raggi X scattata a 360°. Il tutto è servito a riesaminare parti dell’animale che in precedenza erano state erroneamente interpretate come caratteristiche dei vertebrati.

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