La Fed lascia i tassi invariati, ma la stretta non è conclusa

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Il Federal Open Market Committee (Fomc), l’organismo della Federal Reserve responsabile della politica monetaria degli Stati Uniti, ha deciso di mantenere i tassi d’interesse al 5,25%-5,50%, il livello più alto dal 2001; la decisione è in linea con le attese degli analisti ed è stata unanime (12-0).

Dal marzo 2022, è la seconda volta che la Banca centrale statunitense decide di mantenere invariati i tassi d’interesse; nelle altre undici riunioni, è sempre stato deciso un rialzo dei tassi per contrastare l’inflazione. I tassi d’interesse erano stati abbassati allo 0-0,25% nel marzo del 2020, per combattere gli effetti negativi della pandemia di coronavirus sull’economia statunitense, e poi progressivamente alzati dallo scorso anno.

La pausa non è la fine della stretta. Per fine anno, 12 governatori “prevedono” che i tassi salgano al 5,50-5,75%, mentre solo sette credono che resteranno fermi al livello attuale. Si tratta di indicazioni non molto diverse da quelle fornite a giugno, quando però due banchieri centrali immaginavano altri due rialzi, invece di uno, mentre uno dei componenti del comitato di politica monetaria pensava che fosse necessario portarli addirittura al 6-6,25%. «Vogliamo vedere migliori risultati – ha detto in conferenza stampa il presidente Jerome Powell – prima di arrivare alla conclusione» che l’attuale livello dei tassi è sufficiente. prossimo rialzo, a novembre o dicembre, resta quindi per ora probabile. Le decisioni continueranno a essere prese «riunione dopo riunione» in base ai dati.

La stretta, inoltre, potrebbe durare più a lungo. Per fine 2024, i governatori – attraverso i “dots” pubblicati ogni tre mesi, i punti con cui indicano le loro stime sul costo del credito ufficiale – indicano tassi al 5-5.25%, mentre a giugno la mediata puntava 0,50 punti più in basso, al 4,50-4,75%. È quindi possibile che il primo prossimo taglio sarà deciso alla fine dell’anno prossimo.

Per il 2025 le indicazioni puntano nella mediana al 3,75-4%, mentre a giugno esprimevano un 3,25-3,50%. Per il 2026, le prime stime indicano tagli per un punto percentuale, fino al 2,75-3% , che pure sono più elevati del valore di lungo periodo, considerato “neutrale” – né accomodante, né restrittivo – e confermato nel 2,5% anche se alcuni governatori hanno rivisto al rialzo le loro valutazioni.

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