Violenza sessuale: un metodo per identificare gli stupratori

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Gli organi sessuali maschili e femminili hanno le loro colonie di batteri che, durante il sesso, vengono scambiate tra i partner: analizzarle potrebbe servire per individuare con più precisione (o perlomeno escludere dai sospettati) chi commette violenza sessuale. «L’idea è, in futuro, essere in grado di analizzare i batteri attraverso un tampone vaginale, e collegarli a un individuo preciso», spiega a IFLScience Ruby Dixon, coordinatrice dello studio pubblicato su Forensic Science International.

Lo studio. Il nuovo metodo ideato dai ricercatori si basa sulla ricerca nel corpo della vittima di quello che è stato chiamato “sexome”, il DNA batterico degli organi sessuali. Per arrivare alle loro conclusioni i ricercatori hanno raccolto dei campioni biologici dalla pelle del pene e dalla vagina di sei coppie eterosessuali, di età compresa tra i 22 e i 30 anni, dopo che avevano avuto rapporti sessuali. Il sequenziamento del genoma batterico ha permesso di dimostrare l’avvenuto scambio del sexome, le cui tracce erano più evidenti nelle coppie che non avevano usato il preservativo. «La composizione batterica di ogni persona è probabilmente abbastanza diversa da poter identificare con chiarezza a chi appartiene il sexome analizzato», spiega Dixon.

Un’arma in più. Indagare su crimini sessuali è sempre complesso, ma a volte lo è ancor di più perché non si trovano tracce del DNA dello stupratore: questo capita, ad esempio, quando non vi è liquido seminale, perché non c’è stata un’eiaculazione o perché è stato indossato il preservativo. «Il metodo di raccolta dei campioni biologici non cambierà, e questo è importante perché non causeremo ulteriori traumi alle vittime di stupro», sottolinea Dixon.

I prossimi passi. La ricerca è solo all’inizio, e vi sono molti altri fattori su cui indagare in futuro: «Dovremo osservare in che modo le comunità di batteri mutano nel tempo, in risposta al ciclo mestruale, all’igiene e probabilmente ad altri fattori che ancora non conosciamo», spiega Brendan Chapman, uno degli autori, che conclude: «Abbiamo appena grattato la superficie di una nuova tecnica che potrà forse aiutare nell’attività forense».

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