Orsi: perché durante il letargo non rischiano la trombosi?

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Ogni anno, con l’arrivo dell’inverno, gli orsi si preparano per il letargo, e per qualche mese rimangono sostanzialmente immobili nel loro rifugio in attesa che tornino tempi migliori (dal punto di vista atmosferico). Se noi umani facessimo una cosa del genere andremmo incontro a una serie di rischi per la nostra salute: il più grosso è quello dello sviluppo di trombosi, cioè coaguli di sangue che rallentano o bloccano la circolazione, e che sono un problema tipico per gli umani che rimangono immobilizzati per un periodo di tempo.

Come fanno gli orsi a evitare questo rischio? Un nuovo studio pubblicato su Science ha individuato il meccanismo molecolare dietro a questa “protezione dai trombi”, che potrebbe tornare utile anche a noi umani.

La proteina dei trombi. Lo studio è stato condotto analizzando il sangue di orsi bruni selvatici durante il letargo, e facendo un confronto con quello di alcuni esseri umani con danni alla colonna vertebrale, e quindi immobilizzati cronici, e di altri che sono stati invece “incoraggiati” a rimanere fermi per un certo periodo.

Orsi in letargo e umani paralizzati hanno mostrato entrambi un’espressione ridotta di una proteina, HSP47, presente nelle piastrine: la minor produzione di questa proteina è associata a un ridotto rischio di sviluppare trombosi. Come detto, questa condizione è presente sia negli orsi in letargo sia negli esseri umani che hanno un problema cronico; quelli sani che sono stati indotti a rimanere immobili hanno invece mostrato una drastica riduzione nella produzione della proteina dopo 27 giorni di inattività.

Copiare gli orsi? Risultati simili sono stati ottenuti anche da altri studi condotti su maiali e topi, e confermano che la capacità o meno di resistere al rischio di trombosi è legata alla regolazione della proteina HSP47, che viene ridotta quando il corpo sta per sviluppare i primi sintomi.

La scoperta non ci dice solo che gli orsi hanno un meccanismo molecolare per prevenire un problema grave e potenzialmente letale, ma che questo stesso meccanismo è presente in molti altri mammiferi; inoltre, averlo identificato potrebbe essere il primo passo verso lo sviluppo di farmaci anti-trombosi.



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