Artemis: Orion si prepara al rientro sulla Terra

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Prosegue il viaggio di ritorno della capsula Orion impegnata nella missione Artemis I: dopo il secondo (e ultimo) passaggio ravvicinato rispetto alla Luna effettuato qualche giorno fa, (durante il quale Orion ha raggiunto una distanza minima di 130 km dalla superficie lunare) i fari sono ora puntati sulla fase di rientro.

Il programma prevede che, a conclusione di un viaggio di 25 giorni, la capsula Orion concluda la missione Artemis con un tuffo nell’Oceano Pacifico, vicino all’Isola di Guadalupe, l’11 dicembre, alle 18:40 ora italiana.

Com’è andata finora. Si può già parlare di un bilancio positivo? «Al momento siamo sulla buona strada per avere una missione di pieno successo con alcuni obiettivi in più, rispetto a quelli programmati, che abbiamo aggiunto lungo il percorso», ha affermato Mike Sarafin, mission manager di Artemis I. 

«Il giorno dell’ingresso di Orion nell’atmosfera, realizzeremo il nostro obiettivo prioritario, che è quello di dimostrare come il veicolo possa ammarare sano e salvo con un equipaggio a bordo, dopo un viaggio di andata e ritorno alla Luna». 

Controlli. Nelle prossime ore i controllori di volo condurranno un’indagine finale del modulo dell’equipaggio (la capsula vera e propria, insomma) e del modulo di servizio di Orion, utilizzando le telecamere poste su ciascuno dei quattro pannelli solari del veicolo spaziale. Successivamente, poco prima del rientro, il modulo dell’equipaggio si separerà del modulo di servizio e solo il primo rientrerà in modo controllato, mentre il modulo di servizio brucerà completamente nell’atmosfera. 

Quello del rientro e dell’ammaraggio della capsula Orion della NASA sarà il momento… più caldo di tutta la missione.

Lo scudo termico. Vale la pena ricordare, infatti, che rientrando in atmosfera la navicella affronterà temperature di quasi 2.800 °C, pari a circa la metà di quella che si trova sulla superficie del Sole. Per proteggere Orion si userà una soluzione diversa da quelle impiegate nelle missioni Apollo (300.000 celle a nido d’ape riempite con materiale che al rientro si consumava). Parliamo di blocchi di cosiddetto Avcoat, strutture a nido d’ape in fibra di vetro dove viene iniettata una particolare resina epossidica.

Sono poco meno di 200, ciascuna cella è pre-lavorata affinché possa adattarsi alla propria posizione ed è incollata sulla “pelle” in fibra di carbonio dello scudo termico. Questa protezione permetterà agli astronauti all’interno di Orion…

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