Depressione e scarsa serotonina: c’è un legame?

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Alterazioni nel rilascio e nell’azione della serotonina – l'”ormone della felicità” – potrebbero giocare un ruolo importante nei disturbi depressivi: secondo uno studio britannico destinato a creare dibattito nella psichiatria, il cervello di chi è affetto da depressione avrebbe una ridotta capacità di rilasciare serotonina, un neurotrasmettitore che ha tra i suoi tanti effetti anche la regolazione dell’umore.

Nel nuovo lavoro pubblicato su Biological Psychiatry, i ricercatori dell’Imperial College London sostengono di aver fornito “la prima prova diretta”, attraverso esami di imaging cerebrale, del fatto che il rilascio di questa molecola è attenuato in chi soffre di depressione.

Solo questione di chimica? La ricerca si inserisce in una delle questioni più dibattute degli ultimi 60 anni di neuroscienze, quella del ruolo della serotonina nella genesi dei disturbi dell’umore come la depressione. La serotonina è prodotta da neuroni specializzati del sistema nervoso centrale e da cellule della parete gastrointestinale, ma si trova in elevate concentrazioni anche nel sangue. Secondo l’ipotesi di una disfunzione serotoninergica nei disturbi depressivi, nata da alcune osservazioni sperimentali a partire dagli anni Sessanta, all’origine della depressione ci sarebbe proprio la carenza di questo ormone.

L’idea – da tempo bollata come eccessiva semplificazione di un disturbo complesso e multisfaccettato, impossibile da ridurre a un semplice “squilibrio chimico” a carico di un singolo neurotrasmettitore – era stata di recente smentita da un’ampia revisione di studi sul tema, pubblicata su Molecular Psychiatry a luglio 2022. A non convincere i detrattori di questa teoria non è tanto la presenza di un’alterazione chimica che coinvolge la serotonina, ma la convinzione che questa possa essere la ragione principale dei disturbi depressivi.

Il ruolo dei farmaci. D’altro lato un qualche ruolo esercitato dalla serotonina nella depressione è rivendicato dal fatto che i farmaci antidepressivi più usati, gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), siano efficaci su buona parte dei pazienti, lasciando però senza effetti una considerevole fetta di persone, tra il 10 e il 30%. Questi farmaci funzionano prendendo di mira la proteina incaricata del trasporto della serotonina, che riacciuffandola nello spazio tra sinapsi, per riciclarla, mette fine alla sua azione. Ostacolando con i farmaci questo processo biologico di eliminazione e riassorbimento (reuptake) aumenta anche la concentrazione di serotonina nell’organismo.

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