Dove e perché scompaiono le foreste
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Le tante parole spese alla COP26 di Glasgow sulla protezione delle foreste, nel novembre 2021, devono avere coperto il tonfo di migliaia di alberi abbattuti: nonostante l’impegno formale a fermare la deforestazione entro il 2030 siglato da oltre 100 leader mondiali, soltanto lo scorso anno ai Tropici sono stati distrutti oltre 11,1 milioni di ettari di foreste, un’area equivalente a quattro volte e mezzo la Lombardia. Più di un terzo di questa perdita è avvenuta in foreste tropicali primarie, cioè antiche e mai venute a contatto con l’attività umana, abitate da specie autoctone e maggiormente capaci di assorbire anidride carbonica.
Nuove (vecchie) emissioni. A fare la conta dei danni è il rapporto annuale del World Resources Institute (WRI), gruppo di ricerca non profit che si occupa di migliorare il benessere di persone e natura con particolare attenzione a cibo, boschi, acqua e oceani, città, energia e clima. L’analisi è stata condotta insieme al Global Land Analysis and Discovery laboratory dell’Università del Maryland, che ha sviluppato metodi per valutare l’estensione delle foreste a partire dalle foto satellitari.
La devastazione degli alberi restituisce all’atmosfera la CO2 sequestrata dalla pianta e dal suolo in centinaia di anni: le foreste abbattute nel 2021 rispediranno al mittente-uomo 2,5 miliardi di tonnellate di emissioni di anidride carbonica, due volte e mezzo quelle prodotte ogni anno da auto e furgoni negli USA.
Dove cadono più alberi. Oltre il 40% della vegetazione tropicale primaria abbattuta nel 2021 si trova in Brasile, per la maggior parte nella Foresta Amazzonica. Seguono, per numero di ettari distrutti, Repubblica Democratica del Congo e Bolivia. Il Congo ospita la seconda più grande foresta pluviale al mondo dopo l’Amazzonia, habitat di specie animali minacciate di estinzione, come elefanti e scimpanzé, e di un centinaio di popolazioni indigene.
La perdita totale di aree boschive nel 2021 è lievemente minore (-11%) rispetto al 2020, ma sostanzialmente pari al 2019 e 2018. Insomma, per il quarto anno consecutivo non si vedono progressi sostanziali: un male «per il clima, per le estinzioni e per la sorte di molti popoli», afferma Rod Taylor, che dirige il programma forestale del WRI.
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