In tribunale a Mantova: «Abusata dal patrigno a tredici anni»

Commuove lo smarrimento della nonna, catapultata in una vicenda brutale e in un’aula lontana da casa, e commuovono le lacrime della mamma, che ancora si tormenta per l’adolescenza inceppata della figlia, violata dalle mani che avrebbero dovuto accompagnarla. Mani che invece hanno soffocato la fiducia di una tredicenne, demolendo in una notte il suo orizzonte affettivo.

Il capo d’imputazione è da brividi e rabbia: violenza sessuale su minore, con l’aggravante di esserne il genitore. Patrigno secondo la biologia, ma papà a tutti gli effetti di una figlia accolta quando aveva pochi mesi di vita. Ieri, davanti al collegio presieduto dal giudice Gilberto Casari, e composto da Raffaella Bizzarro e Giacomo Forte, hanno parlato la nonna e la mamma della ragazzina, ora sedicenne. Una vicenda dolorosissima, che ancora riverbera i suoi effetti, e per la quale si omette qualsiasi dettaglio possa ricondurre ai protagonisti.

Lo sconforto della nonna

Affiancata da un’interprete, più segnata dell’età che dichiara, la nonna racconta delle ripetute richieste della nipote perché venisse in Italia. Richieste impastate di suppliche e lacrime. La ragazzina insisteva, aveva qualcosa di urgente da dirle e, alla fine, la nonna era arrivata nel dicembre del 2020. «Dormivamo nella stessa stanza e lei continuava a ripetermi che doveva parlarmi – riferisce la nonna, rispondendo alle domande del pubblico ministero Michela Gregorelli – Si è confidata dopo qualche giorno, dietro la promessa che non ne avrei fatto parola con sua mamma». Una confessione ruvida e pesante come un macigno: «Mi ha raccontato che una notte di qualche mese prima si era svegliata trovando il padre nel letto, con una mano in mezzo al suo seno e l’altra sulle gambe».

Il dolore della mamma

Era una notte di luglio dello stesso anno, la mamma era partita per il funerale del padre – il nonno della ragazzina – in un altro paese europeo, lasciando i due figli alle cure del compagno. Con la tredicenne c’era il fratellino di cinque anni, figlio naturale dell’uomo. La donna riferisce di una relazione stabile ma difficile, inquinata dalla ludopatia .

«Avevo intuito che era successo qualcosa quando ero ancora via – ricostruisce la donna in aula – al telefono mia figlia continuava a dirmi che se fossi partita un’altra volta, lei sarebbe venuta con me. E poi non era libera di parlare, c’era sempre lui. Quando sono tornata mi sono accorta che il loro rapporto non era più sereno». Mai, però, avrebbe potuto immaginare ciò che sua mamma le ha confidato dopo qualche mese, contravvenendo alla promessa fatta alla nipote.

Il racconto della donna accelera. Il suo malore, la corsa in ospedale, il ritorno a casa a piedi, la richiesta d’aiuto all’assistente sociale e al prete, poi la lite col compagno, il suo rifiuto di parlare dell’episodio, i tasselli della violenza che si compongono in orrore. Le pressioni psicologiche dell’uomo sulla ragazzina, la sua minaccia di uccidersi se lei avesse parlato. La paura, l’isolamento e la vergogna di un adolescente che adesso non sa più come fidarsi.