Panchine anti-violenza davanti alla casa di Yana

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caffè al bar proprio qui, oltre il piazzale. Si sarebbe, forse, fermata qualche minuto prima di rientrare a casa, quell’appartamento nella palazzina di nove piani proprio sopra al bar dove lavorava. Si sarebbe seduta sotto questi alberi verdi in primavera. Si sarebbe lasciata cadere addosso una foglia ormai gialla d’autunno, in una giornata fredda come quella di ieri. Non l’ha fatto e non lo farà, Yana Malaiko, perché proprio in quella palazzina è stata uccisa in gennaio dall’uomo che diceva di amarla e che andrà a processo in aprile.

Da ieri a Castiglione delle Stiviere ci sono due panchine rosse nel piccolo giardino di piazzale della Resistenza proprio davanti a casa di Yana. A verniciarle di rosso e dedicarle a lei sono state le associazioni Y.a.n.a. (You Are Not Alone), nata in sua memoria, e Pane dal Cielo.

«Sono il simbolo della sua assenza – ha detto il sindaco Enrico Volpi durante l’inaugurazione a cui hanno partecipato un centinaio di persone – Chi passa deve ricordare il posto lasciato vuoto da una vittima di violenza». Ma sono anche un modo per guardare in faccia il male, per tenerlo bene a mente, quelle due panchine puntate proprio verso la casa dove Yana è stata uccisa. «Il male deve essere osservato da vicino, anche quando è difficile non possiamo girarci dall’altra parte», ha detto Ivanna Dyachyshyn, presidente della diaspora ucraina a Mantova.

Queste strade, queste piazze, Yana le amava anche se abitava qui da poco. Erano la sua comunità. «Le piaceva Castiglione, mi diceva sempre che la sua vita era qui», racconta il padre Oleksandr Malaiko. In tanti si avvicinano, occhi rossi, a dargli un abbraccio. In tanti hanno qualcosa di rosso: un basco, una giacca, un paio di guanti. Il colore del 25 novembre, della lotta contro la violenza sulle donne.

Rosso è il colore del rossetto di Kateryna, amica di Yana e sua connazionale arrivata da Romano di Lombardia, dove abitava la giovane uccisa prima di trasferirsi nel Mantovano. «Yana era uno spirito guerriero, lo è sempre stata», racconta. Il primo ricordo è di quando da ragazzine hanno fatto un viaggio in pullman dall’Ucraina all’Italia. Yana, che andava a trovare il nonno e si sarebbe trasferita in Italia soltanto anni dopo, aveva con sé il suo arco: «Era il suo sport, era un’arciera». Le due si rincontrano anni dopo a Romano e restano vicine. Indipendente, decisa, guerriera, Yana lo era anche quando si trattava di difendere le amiche da uomini oppressivi: «Cercava di aprirmi gli occhi – racconta Kateryna – Ha persino chiamato il mio ex dicendogli di lasciarmi stare. Non mi perdono che, quando si è trasferita, non ho potuto fare lo stesso con lei e salvarla».

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