Inchiesta sui fondi per il sisma: Todaro ammette la concussione

Ha ammesso solo quello che negare sarebbe stato controproducente, perché avrebbe minato la sua credibilità. Per il resto, solo “opere buone” per dare una mano a chi non riusciva a trovare imprese edili disponibili a farsi carico degli interventi di ricostruzione post terremoto. Ha parlato per quattro ore e mezzo, lunedì,Giuseppe Todaro, l’architetto che si occupava delle istruttorie delle pratiche edilizie nei comuni del cratere del sisma, principale accusato, con il padre Raffaele, nell’operazione Sisma, con la quale i carabinieri del nucleo investigativo di Mantova, coordinati dalla Dda di Brescia, hanno tolto il coperchio dal calderone di maneggi orchestrati da padre e figlio per raspare guadagni illeciti nelle maglie delle istruttorie delle istanze di contributo regionale per la ristrutturazione degli immobili danneggiati nel 2012. Soldi in cambio di una corsia preferenziale per i risarcimenti. Profitti che secondo le indagini, sarebbero stati reimpiegati nella gestione di svariate attività a favore della ’ndrangheta, di cui il nonno, Antonio Dragone, era stato boss indiscusso.

Una maledizione, questo nonno mafioso, ha confessato il nipote, che ha minato la sua reputazione e gettato una luce nera su tutta la sua vita.

Un lunghissimo esame dell’imputato, chiesto dai difensori Silvia Salvato e Giuseppe MIgale Ranieri, durante il quale l’architetto ha risposto spesso alle domande del sostituto procuratore Claudia Moregola con altrettante domande. Ha ricostruito la cronologia dei fatti, spiegando che in molte pratiche lui in realtà sarebbe stato solo il prestanome del padre Raffaele, che non poteva comparire ufficialmente perché era stato colpito “ingiustamente” da interdittive antimafia. Alle richieste dei geometri che si occupavano degli interventi, lui rispondeva semplicemente fornendo un elenco di nomi di ditte disponibili. Lavori che, molto spesso, venivano affidati alla Bondeno, la ditta di cui Todaro padre era socio occulto.

Messo davanti alle intercettazioni in cui parla di «protezione», di «uno potente» e di «favori» le ha giustificate quasi come frasi scherzose tra amici. L’architetto ha ammesso di aver preso del denaro soltanto in un’occasione: da Giuseppe Di Fraia, il poggese allora titolare della Edil Costruzioni di Gonzaga, per le pratiche inerenti a un immobile di Tramuschio. Una confessione “obbligata”, visto che lo stesso Di Fraia, ha ammesso davanti agli inquirenti la corruzione, fornendo elementi ritenuti decisivi per lo sviluppo delle indagini e lo scorso 6 luglio ha patteggiato una pena di due anni e nove mesi davanti al Gup di Brescia.

Nel pomeriggio è stato sentito anche l’altro imputato che ha chiesto il rito abbreviato, Enrico Ferretti, il consulente finanziario guastallese, dipendente della filiale di Reggiolo del Credito Emiliano, che secondo l’accusa si sarebbe speso per l’apertura di un conto corrente all’Unicredit di Soliera, per imboscare i soldi della Bondeno prima che il conto venisse bloccato. Ferretti ha affermato di aver conosciuto i Todaro «come due grandi lavoratori, segnati negativamente dalle problematiche del nonno». Per il 20 novembre…