gli armeni accettano di deporre le armi- Corriere.it

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DALLA NOSTRA INVIATA
COSTANZA (ROMANIA) — «Lo vedi questo passaporto russo? Ecco io lo strappo perché Mosca ci ha traditi». A poco più di 24 ore dall’annuncio dell’inizio dell’«operazione antiterrorismo» contro i separatisti armeni del Nagorno Karabakh, il governo di Baku annuncia un accordo per il cessate il fuoco e l’avvio di un negoziato nella città azera di Yevlakh. Le formazioni armene hanno accettato di deporre le armi, come richiesto dall’Azerbaigian e come imposto dalle forze di peacekeeping russe presenti nella regione dopo la guerra del 2020. Ma la tensione non accenna a scendere mentre i separatisti ora accusano Mosca di non proteggerli dagli azeri.

«Abbiamo colpito solo obiettivi militari», sostiene Baku, mentre gli armeni parlano di almeno 30 vittime civili. Ma per l’ex capo del governo regionale armeno, Ruben Vardanyan, si tratterebbe di un’operazione di «pulizia etnica» e il bilancio sarebbe di almeno 400 morti e alcune centinaia di feriti, mentre Mosca sostiene di aver evacuato 3.100 civili.

Il cessate il fuoco imposto da Baku, alleata di Ankara, e da Mosca, alleata di Erevan, prevede la resa totale dei separatisti armeni, il disarmo delle forze del cosiddetto Artsakh. Di fatto è lo status quo, imposto nel 2020. Ma l’accordo potrebbe non reggere. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, temendo nuove proteste dei separatisti, ha chiarito di non aver partecipato alla stesura del testo della resa. Nonostante ciò ieri, per il secondo giorno consecutivo, diverse centinaia di manifestanti si sono radunati davanti alla sede del governo armeno chiedendo a gran voce le dimissioni di Pashinyan mentre in parlamento l’opposizione annunciava un comitato per destituire il premier.

In piazza non sono mancati gli scontri tra manifestanti e polizia. Ma soprattutto ieri Mosca ha denunciato come uomini armati abbiano aperto il fuoco contro un’auto di peacekeeper russi uccidendo «tutti gli uomini a bordo». Un’azione che, se rivendicata dai separatisti, potrebbe dare al Cremlino, già in tensione dopo il rafforzamento dei legami del governo di Pashinyan con l’Europa e con gli Stati Uniti, il pretesto per ritirare i suoi uomini.

La Russia d’altro canto non può permettersi di perdere l’appoggio dell’Armenia: è da qui che passa una delle principali rotte che ancora permettono l’import aggirando le sanzioni. Non a caso ieri il presidente russo Vladimir Putin ha avuto una conversazione telefonica con Pashinyan ed è tornato a parlare, almeno per il conflitto tra Armenia e Azerbaigian, di «pace».

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