Ecco l’impronta di un sapiens di 153.000 anni fa

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All’inizio di questo secolo le impronte dei nostri più antichi antenati risalivano a non oltre 50.000 anni fa e non erano più di quattro. Oggi, a distanza di un ventennio, le cose sono cambiate: nel 2023 abbiamo ben 14 impronte fossili di sapiens (note anche come “ichnositi”) che risalgono a prima di 50.000 anni fa. Se poi le precedenti erano tutte ubicate in Africa, quelle più recentemente scoperte si trovano anche nel Regno Unito e nella Penisola arabica.

In un articolo pubblicato su Ichnos, rivista internazionale che ha come oggetto proprio le tracce fossili, un gruppo di ricercatori ha datato in particolare sette ichnositi di ominidi: il più recente fu lasciato circa 71.000 anni fa, ma è sul più antico che si sono concentrate le attenzioni degli studiosi. Risale a 153.000 anni fa ed è inconfutabilmente l’impronta più antica finora attribuita alla nostra specie, l’Homo sapiens.

I MOVIMENTI AL SUD. Il reperto risalente a 71.000 anni fa è venuto alla luce sulla costa meridionale del Sud Africa. Insieme ad altre prove che testimoniano lo sviluppo di sofisticati strumenti in pietra, di forme d’arte, di gioielli e della raccolta di molluschi.

La scoperta conferma che la costa meridionale del Sud Africa era un’area in cui vissero i primi esseri umani anatomicamente moderni: lì si evolvettero e prosperarono, prima di diffondersi verso altri continenti.

Se nell’Africa orientale sono stati scoperti reperti di ominidi molti antichi (milioni di anni), i siti sudafricani sulla costa meridionale conservano invece reperti molto più recenti come lo è il sapiens (decine o al più un centinaia di migliaia di anni). Le tracce tendono a essere completamente esposte quando vengono scoperte rocce conosciute come “eolianiti“, che sono le versioni cementate di antiche dune.

TECNICHE AVANZATE. La difficoltà nel trovare queste impronte sta nel fatto che sono difficili da individuare e possono essere facilmente erose se rimangono a lungo sotto l’azione del vento e dell’acqua. Quindi sono molto vulnerabili all’erosione e spesso è necessario studiarle velocemente per registrarle prima che vengano distrutte dall’oceano e dal vento.

Anche se ciò limita le possibilità di studi approfonditi è comunque possibile datare i depositi e quindi le impronte. Per questi tipi di reperti si utilizza la “luminescenza otticamente stimolata”. Questo metodo di datazione permette di capire quanto tempo fa un granello di sabbia è stato esposto alla luce solare; in altre parole, da quanto tempo il sedimento è rimasto sepolto.

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