Come fanno gli ospedali ad autoprodurre l’ossigeno?

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L’ossigeno è un farmaco salvavita e durante l’emergenza Covid ne abbiamo avuto la prova: somministrato negli ospedali attraverso maschere e respiratori, ha salvato milioni di persone. E lo fa tutt’ora per molte altre patologie. 

Di solito l’ossigeno viene conservato ad alta pressione in grandi bombole metalliche piuttosto pesanti e da maneggiare con cautela perché se danneggiate possono esplodere o causare incendi. In realtà da diversi anni l’ossigeno medicale può anche essere prodotto direttamente in loco, ricavandolo dall’aria che respiriamo, attraverso un concentratore di ossigeno, come l’OxGen progettato dall’azienda lombarda Delta P, che rifornisce le strutture sanitarie, creando anche l’impianto ad hoc per trasportarlo dal serbatoio in cui viene stoccato fino ai letti dei pazienti.


Un concentratore di ossigeno OxGen dell’azienda Delta P. Da sinistra verso destra: l’aria viene catturata da un compressore, asciugata dall’umidità e depurata. Viene dunque raccolta in un primo serbatoio e poi concentrata, filtrando l’azoto, nel secondo serbatoio. I modelli sono in grado di produrre da uno a settanta metri cubi di ossigeno.

Come funziona. L’aria che respiriamo è composta solo al 21 per cento da ossigeno, mentre il resto è costituito da azoto al 78 per cento e argon all’1 per cento (più tracce di elio, anidride carbonica e altri gas). Il concentratore raccoglie l’ossigeno dall’aria, lo purifica e lo porta a una concentrazione del 90 per cento circa, sufficiente per la somministrazione ai pazienti. L’aria risucchiata viene ripulita da impurità attraverso appositi filtri; subito dopo viene compressa e fatta passare attraverso setacci molecolari, le cosiddette zeoliti, cioè minerali dalle proprietà particolari che agiscono come una sorta di spugne. Nei concentratori di ossigeno assorbono nei loro micropori tutte le molecole di azoto, lasciando passare quelle di ossigeno oltre all’argon residuo (gas comunque innocuo per la salute). In questo modo si può produrre ossigeno a una concentrazione, cioè purezza, pari al 93 per cento, utilizzabile negli ospedali per varie terapie secondo le linee guida della farmacopea europea, cioè la lista dei farmaci approvati per la cura delle persone.

Dato che i micropori di ogni zeolite nel concentratore sono un numero finito ad un certo punto si saturano di azoto, diventando inefficaci per catturarne altre molecole. Per questo il macchinario è creato in modo tale che quando un filtro si “intasa” di azoto, l’aria viene veicolata su un’altra zeolite efficace, mentre nel frattempo la prima viene liberata dalle molecole di azoto attraverso un processo di depressurizzazione che le fa tornare in atmosfera. E così via.

Vantaggi. Un concentratore ha un costo che va da 30 a 300mila euro (a seconda della capacità di produzione e dunque del numero di letti che può “servire”), ma consente di produrre ossigeno per anni, senza la necessità di essere…

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