Le discriminazioni di genere in una lingua fatta dai maschi

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«Le parole sono azioni, diceva Wittgenstein, con le parole si fanno le rivoluzioni, si fa l’emancipazione reale, linguistica e sociale, del soggetto donna troppo spesso e troppo a lungo cancellato». Eleonora Pinzuti è formatrice, docente ma anche scrittrice e poeta («non poetessa, ma la poeta») ed è stata protagonista del secondo evento organizzato dalla Cgil per l’8 marzo dal titolo “Donna e libertà: la parola è libertà”.

Introdotta dalla segretaria della Camera del lavoro Roberta Franzini, Pinzuti ha smontato pezzo per pezzo tutto quel castello di stereotipi figli di una cultura patriarcale che impregnano da sempre la nostra lingua. A partire dal mondo del lavoro dove «il fatto di non voler visibilizzare la professione femminile con la declinazione del sostantivo come ad esempio “avvocata” o “ingegnera” significa semplicemente opacare quel percorso professionale e formativo che con tanta fatica le donne stanno facendo e che riverbera la loro professionalità, la loro capacità, il loro diritto ad essere nel mondo non solo riproduttivo ma produttivo». E che ci siano donne come la premier Meloni che vogliono essere chiamate con “il” resistendo per prime alla femminilizzazione del linguaggio «è un elemento molto triste perché di fatto invece di sottolineare un percorso lungo secoli che ha portato le donne prima all’istruzione e poi alla professionalizzazione, si crede erroneamente che il maschile sia valorizzante e invece è soltanto virilizzante andando così a testimoniare che per avere valore nella società bisogna anche nominalmente virilizzarci».

Il fatto è che il «cambiamento deve partire dall’educazione come riverbero della società e dei mutamenti culturali in atto», è che «la nostra è una lingua mascolina e maschilizzante perché è stata prodotta dall’unico soggetto in grado a lungo di scrivere e trasmettere il sapere, il maschio. Di conseguenza abbiamo un linguaggio che replica lo sguardo maschile nei confronti della società e che ha messo a livello subgrammaticale l’aspetto femminile, ad esempio con l’uso del maschile plurale che include il femminile, così come lo ha messo socialmente a livello non paritario».

E le discriminazioni di genere attraverso il linguaggio non si fermano qui: riguardano anche stereotipi nell’uso di aggettivi, proverbi, nella femminilizzazione della bestializzazione (oche, galline, cagne), nel body shaming, nelle molestie verbali «che nei luoghi di lavoro sono le più presenti e le meno denunciate». Le donne cosa possono fare? «Innanzitutto esserne consapevoli».

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