Il grido da Mantova: «Io, mamma russa e sposa ucraina con il cuore spezzato a

Il dolore di Iryna: «Il cuore non può accettare questa guerra». Dopo anni da badante a Mantova sognava di tornare a casa

MANTOVA. La guerra ce l’ha in casa, Iryna, nella stanza delle memorie e nella geografia degli affetti, nelle pieghe della sua identità sospesa. Guerra civile, nella feroce inciviltà che ogni conflitto esprime: nata e cresciuta in Russia, sposata a un ucraino col quale ha vissuto dieci anni in Ucraina, diventandone pure cittadina per la burocrazia, Iryna ha due figli quarantenni. Uno è rimasto a combattere in Ucraina, spogliato brutalmente della sua vita comoda, l’altro fa il poliziotto in Russia. E adesso lei, vedova, a Mantova da tanti anni, vive col cuore straziato, diviso in due.

Iryna – nome di fantasia a tutela del suo pudore e della riservatezza dei nipoti ucraini, che ha accolto a Mantova insieme alla nuora – sognava un finale diverso. Dopo una vita di sacrifici, a curare i nostri anziani, era pronta a tornare indietro, a trascorrere il resto dei suo anni tra la Russia e l’Ucraina. Era pronta a tornare a casa. La guerra ha deciso altrimenti.

«All’inizio ho pianto per dieci giorni e dieci notti – racconta, commuovendosi – ora ho finito le lacrime, ma mi fa ancora male parlarne. Non si può spiegare quello che provo, è una cosa che il cuore e la mente non accettano». A opporre russi e ucraini è una ruggine antica, Iryna stessa ricorda ancora le lacrime dei suoi primi anni da straniera al seguito del marito, quando in Ucraina sperimentò la diffidenza sulla sua pelle offesa, ma non c’è alcuna catarsi nell’orrore di questa guerra. «Se guardo la televisione? All’inizio non ci riuscivo, adesso l’accendo appena mi alzo e leggo tutto quello che trovo su Internet – risponde la donna – cerco di capire, mi sforzo di comprendere le ragioni di tutte e due le parti, ma non sopporto più di vedere i due presidenti. Cambio subito canale». Non li nomina nemmeno, Putin e Zelenski, quasi bruciassero in bocca, avvelenandole la lingua. «Ogni mattina spero in una ritirata – scandisce Iryna – spero che la cosa finisca con il Donbass, ma in Ucraina gli allarmi e i bombardamenti continuano tutte le notti. La guerra è guerra, e i cuori diventano come sassi. La cosa che più mi colpisce, leggendo in rete i commenti alle notizie, è l’odio delle donne, di entrambi le parti. Com’è possibile, non hanno dei figli? Davvero non capisco».

A non capire sono pure i nipoti di Iryna, un adolescente e un bambino di otto anni che piangono per il padre e rivogliono la loro vita, la casa, gli amici, la scuola. Il loro mondo, al quale li lega ancora il fragile filo della didattica a distanza. Loro, come tanti altri ragazzi che nelle scuole italiane non vogliono mettere piede, non per ostilità o ingratitudine, ma perché il loro posto è altrove, nelle città da cui sono scappati e dove voglio tornare in fretta, il più presto possibile. Studiare qui avrebbe il sapore della rinuncia, della resa.

«I miei due figli? Si vogliono…