Sgrena e il popolo afghano: «Muoiono di fame e freddo, non si può abbandonarli»

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Il racconto della giornalista alla Camera del Lavoro sulla catastrofe umanitaria e sui diritti negati alle donne: «Non spegniamo i riflettori»

«Non possiamo disinteressarci, abbandonarli, la comunità internazionale non può permettersi di lasciar morire di fame e di freddo il popolo afghano». Ma è questo che sta accadendo laggiù dopo che i riflettori mondiali si sono spenti e le forze occidentali hanno lasciato il Paese restituendo il potere in mano ai talebani. E se pochi media ogni tanto provano a riaccendere quei riflettori, Giuliana Sgrena, la giornalista e scrittrice che fu rapita in Iraq nel 2005 dall’organizzazione del Jihād islamico, lo fa da sempre con i suoi articoli per il Manifesto, i suoi libri e con gli incontri come quello di ieri alla Camera del lavoro di Mantova dove, dialogando con Donata Negrini della segreteria provinciale Cgil e con il pubblico in presenza e online, ha raccontato di diritti negati oggi come ieri e di una catastrofe umanitaria che è già iniziata e «più si ritarda a intervenire e peggio sarà».

L’appello di Giuliana Sgrena per l’Afghanistan

I 20 anni di occupazione occidentale, con un governo «che comunque ha continuato ad avere al suo interno i signori della guerra», l’accordo di Doha quale sorta di «lasciapassare talebano alle truppe della coalizione in ritiro», l’esercito afghano che abbandonato a quel punto abbassa le armi, la presa di Kabul, le scuole e i posti di lavoro dopo 20 anni di nuovo chiusi alle ragazze, il ritorno del burka e di tutto quello che rappresenta. E «il paradosso – ha spiegato Sgrena – è che le Forze occidentali che hanno restituito il potere ai talebani sono le stesse che 20 anni fa avevano raccontato di andare laggiù per la democrazia». E ora il non poter certo riconoscere quel potere significa non fare arrivare aiuti internazionali «da cui l’Afghanistan dipende per l’80%». Ovvero: «Far morire il Paese». Così come la chiusura delle frontiere significa «nessun ingresso di generi alimentari, che sono vitali perché in Afghanistan si coltiva solo oppio, l’80% di quello consumato nel mondo». Così come le risorse bancarie nazionali congelate negli Stati Uniti piuttosto che la mancanza di carta moneta a suo tempo stampata in Europa significa stipendi non pagati , aiuti dalle famiglie all’estero bloccati, impossibilità di scaldare case in questi mesi di gelo che uccide con «gente che ha venduto di tutto, comprese le bambine date in sposa a qualche vecchio per poter sfamare il resto della famiglia». Ora la speranza è la richiesta dell’Onu «di raccogliere tra i 4 e i 5 miliardi di dollari per garantire un minimo di aiuti da far arrivare attraverso le agenzie Onu». Altra strada non c’è: «L’emirato dei talebani non va riconosciuto ma va trovato un modo per salvare la popolazione e anche l’Italia ha una responsabilità diretta dopo vent’anni a Herat». Come bisogna trovare il modo di sostenere chi non è riuscito a fuggire o ha scelto di non…

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