La lettera dei carcerati e l’amore degli ostigliesi: l’addio a don Guernieri tra lacrime e

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In molti hanno seguito la funzione sul maxi schermo.«Abbiamo perso un prete di strada, un padre, un fratello, un amico»

OSTIGLIA. Ai piedi dell’altare c’era la sedia che negli ultimi tempi, quando era ad Ostiglia, utilizzava per celebrare la messa perché le gambe faticavano a reggere. E quel campanone, che lui ricordava al parroco di suonare alla morte dei centenari, e che lunedì 29 novembre ha suonato per lui. Voleva morire nel Signore e in pace, ha ricordato il vescovo di Mantova, Marco Busca, e così è stato, stroncato improvvisamente da un infarto mentre ancora una volta, come ogni giorno, si prodigava per i “suoi” carcerati. Il funerale di don Roberto Guernieri, celebrato nella chiesa parrocchiale di Ostiglia, seguito a quello romano di due giorni fa, ha raccolto in un abbraccio la famiglia, la mamma Lina, i fratelli Giuliano e Luca, a cui si sono strette centinaia di persone dentro e fuori la chiesa, dagli amici più stretti, ai conoscenti, ai cittadini giovani e anziani, al sindaco, ai carabinieri, a suoi confratelli parroci e preti.

C’erano i suoi tre colleghi cappellani di Rebibbia arrivati a Ostiglia nel primo pomeriggio e virtualmente c’erano loro, i carcerati, che don Roberto ha aiutato e assistito per oltre trent’anni: «Oggi siamo due volte orfani – hanno scritto in una lettera – dopo aver perso noi stessi abbiamo perso te, un padre, un fratello, un amico». Lettera affidata alla voce (dal pianto immenso) del fratello Giuliano .

«Essere un prete di strada – ha ricordato nell’omelia il vescovo che aveva conosciuto personalmente don Roberto a Rebibbia – non ti ha reso meno sacerdote. Volevi vedere rinascere i carcerati, farli tornare ad una dimensione fanciullesca e mai ti sei arreso. La tua vita era una vocazione e nel carcere ha trovato concretezza».

Il parroco di Ostiglia, don Alessandro, ha sottolineato il grande amore che don Roberto aveva per Ostiglia, e che Ostiglia aveva per lui e quanto era disponibile sempre al servizio della comunità ogni volta che era in visita alla famiglia e alla parrocchia.

I ricordi degli amici della classe ‘59 e di quelli di via Verrara (sua casa d’infanzia) strappano quasi un sorriso: “Cosa vuoi fare da grande? – Gli chiedevano – il Papa!”, da qui il soprannome di Papon, anche per la sua corporatura alta e imponente. E quella sua passione per i funerali che da piccolo recitava per gli animaletti morti. Il sindaco Valerio Primavori ha portato il saluto di tutta la comunità: «Ci mancherà la sua presenza e la sua condivisione nell’ascolto e nel racconto della sua vita, ma porteremo avanti i suoi insegnamenti».

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