Mantova, lo smart working non si ferma, i sindacati: servono delle regole

Le grandi aziende continueranno a utilizzare questo strumento fino a fine anno. Cgil, Cisl e Uil puntano sui contratti per migliorare le condizioni dei lavoratori

MANTOVA. Molti datori di lavoro storcono il naso al solo citarlo. E persino alcuni lavoratori vorrebbero tornare alla normalità pre-Covid: otto ore in presenza, tra scrivanie, corridoi, macchinette del caffè.

I numeri su ciò che accadrà, però, potrebbero scontentarli: di smart working, non certo inventato con la pandemia, si continuerà a parlare.

E forse, per molte tipologie di impiego, non si smetterà più di farlo. Secondo quanto riportato dal sito di Borsa Italiana, si stima che alla fine di quest’anno rimarranno in “smart”, ma in modalità ibrida (con parte della settimana al lavoro da casa e altre in ufficio) più di cinque milioni di persone. Vista anche la proroga dello stato d’emergenza al 31 dicembre, alcune grandi aziende hanno deciso di proseguire con il lavoro agile fino a fine anno: nel Mantovano, per esempio, si tratta di aziende del terziario come banche e assicurazioni, oltre ad alcune grandi aziende manifatturiere. Per le piccole e medie industrie sembra, invece, che la tendenza sia quella di tornare in ufficio: «Hanno utilizzato questo strumento per fare fronte all’emergenza, ma non vedo aziende che lo stiano inserendo in maniera strutturale» racconta Giovanni Acerbi, direttore di Apindustria Confimi, associazione che conta 560 aziende da cinque a cento dipendenti, per quasi 18mila addetti.

Per Acerbi, la pandemia ha diffuso in modo virale anche un’interpretazione sbagliata dello smart working: «Lo stiamo strumentalizzando. Non è semplicemente lavorare da casa perché obbligati, per esempio, dalla pandemia – prosegue il direttore – Il lavoro intelligente, dove è possibile farlo, è un miglioramento delle condizioni di lavoro per favorire la qualità della vita del lavoratore. Per fare questo occorre, però, misurare la produttività dal punto di vista qualitativo e non più quantitativo». Per migliorare le condizioni di lavoro, i sindacati chiedono, però, più regole.

Daniele Soffiati, segretario provinciale della Cgil, mette in conto un calo: «Dopo l’iniziale ricorso d’emergenza allo smart working, assisteremo con ogni probabilità a un ulteriore ridimensionamento di questo strumento. Senza dubbio, però, è una modalità di lavoro che, magari anche solo parzialmente, continuerà a essere utilizzata. Ciò che serve è una regolamentazione nei contratti nazionali, per sancire tutele quali il diritto alla disconnessione. Senza una regolamentazione da contratto nazionale, il rischio è che il lavoratore (o molto più frequentemente la lavoratrice) sia chiamato a una disponibilità dalla mattina alla sera».

«Finita l’emergenza, bisogna fare in modo che lo smart working sia inserito nella contrattazione aziendale – dice Dino Perboni, segretario della Cisl Asse del Po – Lo riteniamo uno strumento importante, che ha migliorato la…