Addio a Gianni Lui, figura storica del Pci. È stato uno dei “padri” di Mantova

MANTOVA. Si è arreso un leone della politica, in particolare del Pci e della sinistra. È morto Gianni Lui, il «leometra» nella satira politica mantovana riservata solo ai grandi, un misto tra il diploma di geometra che aveva in tasca e il re della foresta di cui impersonava l’autorevolezza e la forza nella polemica con avversari e compagni di partito.

Il decesso è avvenuto la  mattina di sabato 27 marzo, improvvisamente, al pronto soccorso del Poma dove aveva passato la notte dopo un malore accusato il giorno prima. Il 28 marzo verrà aperta la camera ardente all’Arci Salardi per ricevere l’omaggio della città. Non ci saranno funerali, ma solo un saluto prima della cremazione.

Con Lui se n’è andata una delle figure che ha contrassegnato la politica mantovana degli ultimi 40 anni, sempre attento e graffiante su tutti i temi che riguardavano l’amministrazione della città, con un archivio temutissimo dagli avversari. Un aiuto indispensabile per rintuzzare le polemiche a cui, visto il suo curriculum, è stato sempre esposto anche quando dopo il 2000 aveva lasciato la politica attiva.

Classe 1936, Gianni Lui ha fatto politica fin da giovane nella Fgci, ma non è mai vissuto di politica. Questo era il suo tratto caratterizzate. È stato vicesindaco, consigliere e assessore comunale, ha diretto la sanità di Mantova per dieci anni (dal 1981 al 1991 fu presidente dell’allora Ussl 47), ma non ha mai smesso di lavorare, di portare avanti con i figli l’agenzia di viaggi Passepartour nel cuore della città (in gioventù collaborò anche con la libreria Einaudi e fu geometra in un’impresa di costruzioni). Più volte il partito gli chiese la disponibilità di fare il grande salto a Roma in Parlamento, ma si rifiutò sempre. Amava troppo Mantova, i suoi problemi e la possibilità di dare il suo contributo per risolverli.

Figlio di un meccanico d’auto con l’officina in vicolo Chiavichette e fondatore del primo circolo Arci in città, Gianni entrò nella federazione dei giovani comunisti nel 1954. La politica lo appassionò fin da subito; e fin da subito si capì che quel giovane che camminava impettito aveva una personalità forte e un cervello in grado di discernere quello che andava e quello che non andava anche dentro al partito.

Il punto di svolta fu la frequentazione a Vinjaky, presso Mosca, della scuola del Komsomol, l’omologa russa della Fgci, tappa obbligata per i giovani talenti italiani del Pci. «Non era una scuola di partito» ha sempre risposto agli avversari che glielo rinfacciavano. A Mosca rimase dal settembre 1960 all’agosto 1961.

Al rientro diventò funzionario di partito, ma da quell’esperienza trasse la convinzione che l’Urss non era quel paradiso che veniva descritto dalla sinistra e, soprattutto, che quella scuola agli aspiranti funzionari nulla serviva: «Convincemmo il segretario nazionale della Fgci a sospendere l’invio dei giovani» disse quando nel 2010 il suo nome saltò fuori dagli archivi di Gladio tra quelli degli italiani spiati dai servizi segreti occidentali perché ritenuti legati al Kgb sovietico (una bufala).

La sua indipendenza di giudizio, però, lo ostacolò nella crescita nel…