svelati i prodotti che incentivano il caporalato in Lombardia

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Il report elaborato dall’Associazione Terra! mostra come in Lombardia il fenomeno del caporalato sia ancora una piaga sociale: dipendenti sottopagati, senza tutele e costretti a lavorare per un tempo infinito.

PH: Terra!/Giovanni Culmone

PH: Terra!/Giovanni Culmone

Le inchieste degli ultimi anni hanno sconfessato che il problema del caporalato riguardasse solo il Sud Italia, ma anche diverse regioni del Nord. La Lombardia, per esempio, è la prima regione italiana nella produzione agro-alimentare e, allo stesso tempo, è tra le più colpite da procedimenti giudiziari che riguardano proprio lo sfruttamento del lavoro. A dimostrazione di questo, l’Associazione Terra ha realizzato – con il sostegno della Fondazione Cariplo – un report dal titolo “Cibo e Sfruttamento – Made in Lombardia”.

Nel rapporto vengono riportati i dati raccolti dall’Osservatorio Placido Rizzotto sulla “Geografia del caporalato” realizzato dal sindacato Flai Cgil che mostra come in Italia siano 405 distretti in cui viene commesso il reato di sfruttamento del lavoro nel settore agricolo. Un terzo di questi luoghi si trovano nel Nord Italia.

Il lavoro grigio e la richiesta di dipendenti poco qualificati

L’associazione ha preso in esame tre filiere: meloni, insalate e allevamenti di suini. Dallo studio è emerso come, nonostante i procedimenti giudiziari, resta invariata la richiesta di lavoratori poco qualificati. Perché? Avere dipendenti senza formazione rende più semplice rimpiazzare coloro che rifiutano condizioni di lavoro disumane.

Puntare sulla scarsa esperienza consente di poter attingere “a una domanda di lavoro pressoché inesauribile senza che si inneschi alcun processo di contrattazione capace di riequilibrare le opposte posizioni contrattuali”. Vengono così “assunti” operai che si trovano in situazioni di indigenza e marginalità sociale che hanno necessità di lavorare e che purtroppo non riescono ad accedere a impieghi migliori.

Spesso, quindi, si tratta di migranti regolari e non. In questi settori il “lavoro grigio” (un rapporto di lavoro basato su diverse irregolarità) è la prassi. Spesso l’imprenditore assicura un lavoro continuativo tutto l’anno, ma non registra più di 180 giornate.

Perché? Perché si tratta del numero necessario ad accedere alla disoccupazione agricola. Questo permette all’imprenditore di pagare meno tasse e al dipendente di poter accedere agli ammortizzatori sociali calcolati sulla base del numero di giornate registrate. Queste, però, sono molto inferiori rispetto a quelle effettivamente svolte.

Le giornate in più quindi vengono così pagate in…

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