Sclerosi multipla: caute speranze dalle cellule staminali

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C’è un timido ottimismo attorno a un trattamento clinico di fase precoce, e provato su un numero ancora molto esiguo di pazienti, che ha lo scopo di ostacolare il peggioramento della sclerosi multipla nelle persone che ne sono affette. L’iniezione di cellule staminali direttamente nel cervello dei pazienti sembra essere ben tollerata e potrebbe – ma il condizionale è d’obbligo – avere un effetto protettivo contro ulteriori danni inferti dalla malattia. È quanto suggerisce uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Cell Stem Cell.

Sclerosi multipla: che cos’è. La sclerosi multipla è una malattia neurodegenerativa di natura autoimmune che colpisce il sistema nervoso centrale. Nelle persone interessate dalla patologia, il sistema immunitario scatena un processo di infiammazione che può danneggiare la mielina (la guaina che circonda e protegge le fibre nervose), nonché le cellule specializzate nella sua produzione e le stesse fibre nervose.

In un trial clinico per la prima volta testato sull’uomo, un team internazionale di ricercatori dell’Università di Cambridge (Regno Unito), dell’Università di Milano-Bicocca e dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo (Foggia) ha iniettato tra i 5 e i 24 milioni di cellule staminali neurali direttamente nel cervello di 15 pazienti con sclerosi multipla secondariamente progressiva, la fase secondaria della malattia dopo quella di esordio, caratterizzata da un progressivo peggioramento nel tempo.

Perché le staminali? I danni alla mielina disturbano la trasmissione del segnale tra le cellule nervose, e la maggior parte dei pazienti coinvolti nella ricerca si trovava già in sedia a rotelle. L’obiettivo del trattamento – basato sull’iniezione di quelle stesse cellule che nella fase di sviluppo embrionale danno origine a tutte le cellule del sistema nervoso centrale, inclusi i neuroni – era ridurre il processo di infiammazione alla base della sclerosi multipla.

Segnali incoraggianti. I pazienti, che durante il trattamento hanno dovuto sottoporsi anche a terapie a base di farmaci immunosoppressori per evitare rischi di rigetto, non hanno avuto effetti collaterali di rilievo nei 12 mesi successivi all’iniezione. Nel corso dello studio, nessuno ha accusato episodi di ricaduta della malattia, né deterioramento del movimento o della funzione cognitiva (sintomi che ci si sarebbe potuti aspettare in assenza di…

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